“La barca non è un lusso: La passione per la vela di Fanja Raffellini” Città della Spezia, 2018

Quando descriviamo La Spezia diciamo: “è una città di mare”. E il mare c’è, subito dietro i palazzi, il porto commerciale e le mura dell’Arsenale. Noi spezzini abbiamo il mare come orizzonte, sappiamo dei suoi mutevoli colori, conosciamo il suo odore, seguiamo da sempre quella linea che lo separa dal cielo. Ma non siamo propriamente gente di mare.
Fanja Raffellini (La Spezia, 1982) ha scelto, qualche hanno fa, di vivere sul mare, di trasformare una goletta, Pandora, che condivide con il compagno Luca ed un cane, in una casa. La sua prospettiva, quindi, è ribaltata: vive in centro, alla Spezia, ma al di là della Passeggiata Morin, e si prodiga per condividere questa esperienza con molti: bambini e ragazzi delle scuole, disabili, adulti, attraverso attività didattiche dedicate al mare e alla vela.
Ironia della sorte sono salita per la prima volta invitata da amici e colleghi milanesi. Nella mia visione pregiudiziale, possedere una barca a vela, una barca in generale, è qualcosa che appartiene alla sfera della ricchezza. L’incontro con Fanja mi ha permesso di cambiare questa opinione. La sua scelta coraggiosa, fuori dal comune, mi permette di iniziare a presentare giovani spezzini che resistono qui costruendosi, con tanta passione e intelligenza, una professione originale e affascinante, che si aggiunge alla sfera artistica, che ho presentato nella sua vitalità e diversità nelle interviste finora pubblicate.

Ciao Fanja, queste interviste iniziano sempre con la domanda sugli studi fatti e su come si è arrivati a intraprendere il proprio percorso di vita. Quindi, dove e cosa hai studiato? Come sei arrivata alla vela?
“Ho frequentato il liceo scientifico Pacinotti, mai stata la prima della classe, ma me la sono sempre cavata. Faccio parte di quel gruppo di ex adolescenti che ha bei ricordi del liceo, e soprattutto dei professori (mi sento un po’ in controtendenza… come se quest’affermazione stonasse…). Poi ho iniziato gli studi a Firenze in Scienze Forestali, che non ho portato a termine per un soffio. Anche lì, bella esperienza, anche se a Firenze non ci vivrei, a causa della massiccia presenza di turisti, che peraltro è stata anche una delle cause che ha fatto allontanare la mia famiglia da Manarola, dove sono nata. Sono cresciuta a strettissimo contatto con il mare. Proprio alla Marina, mio papà provò a convincermi a seguirlo nella sua passione, la vela. Ovviamente io, da buona femmina, finsi poco interesse. Poi la barca a vela fu portata via da una mareggiata e di lì a poco scoprii che sarebbe stato il mio futuro. Atteggiamento tipico femminile, molto ligure. Il momento in cui perdiamo la barca, coincide con la fine del Liceo, periodo in cui vengo in contatto con un’associazione che si occupa di una barca in legno “La Nave di Carta”. Me ne innamoro e entro a far parte dello zoccolo duro (che in operazioni di questo tipo è molto esiguo) dei volontari che hanno restaurato, in Arsenale, l’Oloferne, la mia amata. Dopo il restauro e l’esperienza qualificante e appagante di navigazione, conosco Pandora, questa goletta, ed il suo Comandante. Comprendo nelle navigazioni fatte a bordo, uno spirito nautico e marinaro profondo, più ruvido e sincero (dal punto di vista dell’apprendimento), più salato, decisamente più difficile rispetto alle attività svolte precedentemente, ma non per questo meno inclusivo. Ho l’impressione di essere più a mio agio in questo tipo di realtà, mi piace molto di più l’aspetto della didattica nautica e marinara. Da qui un periodo di formazione vera e propria con quel lupo di mare che era il suo armatore e comandante, e il resto dell’equipaggio, che altro non erano che ragazzi, bravi e capaci, affezionati alla nave e al carico denso e salmastro di esperienze, di parole e gesti antichi, desueti, come anche il senso di appartenenza e di responsabilità (antichi e desueti pure loro…). Tra questi Luca, lo storico marinaio della nave, che ora è il mio compagno. Insieme a lui e al mio precedente comandante sull’Oloferne, Lucone, la sua compagna Picchi, mio padre Guido e un amico fidato e prezioso, Rolando, decidiamo di mettere in piedi l’associazione Vela Tradizionale nel 2012″.

Quali sono gli scopi che l’associazione Vela Tradizionale si prefigge?
“Vela Tradizionale è una associazione sportiva dilettantistica affiliata ASI, riconosciuta dal Coni. L’idea nostra è molto semplice, ed in realtà neanche così innovativa. In Italia ci sono solo le Navi della Marina Militare, ma all’estero il mare è solcato da molte imbarcazioni che fanno Sail Training. In italiano non esiste una vera traduzione, perché non ne esiste il concetto. La traduzione dovrebbe essere scuola di vela, ma in Francia, Inghilterra, Germania, per esempio, questo termine ha una accezione ben più ampia, mentre da noi riguarda solo le attività perseguite dalla Federazione con il proposito di portare i giovani a competere alle Olimpiadi: molto interessante e formativo dal punto di vista sportivo (la vela Italiana ha giovanissimi molto bravi, di cui andare fieri), ma in realtà in mare c’è bisogno di marinai, non di velisti (per capirci Giovanni Soldini, Andrea Mura sono marinai, non solo velisti). E in Italia una scuola di marineria, di arte della navigazione tradizionale, di trasmissione dei mestieri legati ad essa non c’è. Noi, nel nostro piccolo, facciamo questo, insegniamo ai bambini e ai ragazzi come si vive in equipaggio, come collaborare per arrivare ad un fine che singolarmente non si potrebbe perseguire, tantomeno raggiungere, cerchiamo di far comprendere che è necessario rispettare il mare, che i tempi in mare sono dettati dal meteo, e che si può godere di quel momento di pausa che questi tempi impone, non come una perdita, come una navigazione non fatta o un’esperienza non vissuta, ma proprio come un momento per se stessi, per essere bambini, adolescenti e adulti, senza più input esterni e imposti dai social o dalla tecnologia, ma a contatto con la natura, il mare. Sembra un ragionamento un po’ fricchettone…in realtà questa consapevolezza e rilassatezza può essere raggiunta, quantomeno in mare, solo con regole molto chiare e delineate come il rispetto per le gerarchie e per la sicurezza, che in mare non è mai troppa. Quando si naviga, se lo si vuole fare in sicurezza, nulla può essere lasciato al caso, ogni accadimento deve essere previsto, anche se non sempre significa evitarlo. Talvolta, infatti, non si può farlo, lo abbiamo visto la settimana scorsa, ma quantomeno se ne possono diminuire sensibilmente le conseguenze”.

La storia di Pandora è davvero intrigante, quasi epica, proprio come il nome che porta. Vuoi raccontarcela?
“Pandora è stata costruita nei primi anni Novanta in Russia, per un anniversario di Pietro il Grande ed è arrivata in Mediterraneo nel 1997-1998. Qui viene portata nel porto di Genova e abbandonata dal suo armatore, la cui storia lo vuole ucciso a colpi di pistola in un hotel a Parigi…Russia e Europa degli anni Novanta, ci sta. Dopo poco tempo, anche il suo equipaggio russo la abbandona, avendo prima venduto tutto il vendibile per tirare su gli ultimi stipendi non percepiti. Così la barca, come succede ciclicamente a tutte le barche in legno, batte in banchina e affonda. Dopo poco viene comprata all’asta dal suo primo armatore italiano, e rinominata da Anna a Pandora. Non si cambia il nome alle navi, perché l’anima resta nella stessa, ma Anna ne aveva già subite abbastanza, aveva bisogno di un po’ di riposo e così dopo l’affondamento, la sua anima è stata dispersa in mare e Pandora ha preso il suo posto. Pandora proprio come quella del vaso, da dove l’ultima cosa ad uscire è stata la speranza, quella che fondamentalmente dovrebbe mettere equilibrio al caos. Il nuovo armatore così, prima di iniziare il primo grande restauro, decide di chiamarla come la donna del mito, assumendo come valore il fatto che proprio la barca rappresenti il vaso, e dentro di essa, gli equipaggi giovanissimi che di volta in volta si danno il cambio a bordo, le storie di fratellanza e le buone dinamiche interpersonali che si possono instaurare solo in ambienti come quelli della barca, e del mare, sarebbero stati la speranza che nasce ogni volta che la nave prende il largo. Questa è la nostra Pandora. Se tutto andrà per il verso giusto quest’anno potremmo anche cambiare la polena Anna, con la polena Pandora. Se ne occuperà il giovanissimo scultore del legno e intagliatore di santi Davide Holzknecht e sarà proprio questo il tema che dovrà affrontare. Noi sappiamo come la sta ideando, ma non possiamo svelarne ancora le forme. Sarà una polena degna di questo nome”.

Come avete deciso, Luca e tu, di vivere su una goletta? Di non avere radici terrene, ma liquide?
“La verità è che non è difficile vivere in una barca così grande, ognuno ha i suoi spazi, anche Gancho, il nostromo (il loro cane nda). Viviamo nel legno, un ambiente molto salutare, c’è la vista mare sempre, non ci sono riunioni di condominio, non abbiamo vicini di casa. Potenzialmente potrebbero esserci solo lati positivi. In realtà, in inverno i lati negativi si vivono tutti. Per esempio, le aperture verso l’esterno sono in orizzontale e non in verticale, come nelle case, così quando piove, e qui piove, e si deve uscire, si deve fare molta attenzione a non lavare tutta la discesa. Una barca delle dimensioni di Pandora ha bisogno di qualcuno che si occupi costantemente di lei. Se lunedì 29 ottobre, giornata con meteo terribile e vento forte, non fossimo stati a bordo, noi e gli altri dell’associazione che ci hanno dato una mano, probabilmente ora non saremmo qui a parlarne. Ci vuole sempre qualcuno che faccia la guardia, in inverno tutti i giorni e le notti, i festivi e durante tutta l’estate. Noi non abbiamo scelto di vivere in barca per sfizio, ma per necessità. Poi ci si abitua facilmente e diventa difficile tornare indietro. Quando ci capita di andare in casa di parenti e amici, ci portiamo gli automatismi che abbiamo imparato sulla barca: via le scarpe, ricerca della pompa di scarico per il gabinetto, posizionamento degli oggetti in posti strategici, dove non possano cadere, con un criterio che, in una casa “ferma”, sembra solo disordinato”.

Quali sono i progetti cui sei più legata tra quelli che portate avanti quotidianamente? L’incontro con i ragazzi delle scuole superiori, mi è sembrato molto stimolante per te.
“La nostra associazione nasce dalle esperienze di Sail Training presenti in tutto il mondo. Non abbiamo fatto altro che seguirne i fini. Lo scopo principale è quello di rendere la nautica quello che era un tempo, non un bene di lusso, uno status, ma il semplice mezzo per rapportarsi al mare, che è di tutti. Così proviamo ad agire cercando di farlo comprendere a chi ancora può farlo, e cioè i ragazzi, ancor meglio i bambini: magari poi saranno loro a spiegarlo ai loro genitori. Durante il periodo invernale l’associazione è impegnata con le attività di alternanza scuola lavoro, tutti i giorni tranne la domenica, per otto ore al giorno. Negli ultimi due anni abbiamo ospitato in inverno più di duecento allievi del nautico: forse tutti gli studenti di quella scuola! Sono stati con noi, li abbiamo messi a lavorare sul motore, sull’impiantistica, a carteggiare e pitturare, a costruire il bompresso, le crocette. Tutti lavori che se fatti male, o con leggerezza, si rivelano deleteri, anziché proficui, ricominciando da capo, se necessario, per far sì che alla fine acquisissero qualcosa in più di quando erano arrivati. Alcuni di questi ragazzi hanno partecipato a campagne di addestramento e poi in estate hanno navigato con noi come equipaggio di sicurezza durante le attività con i più piccoli. E questo per noi rappresenta il successo del progetto. Nel 2010, con il precedente comandante, abbiamo partecipato alla Garibaldi Tall Ships Regatta, da Genova a Trapani e l’equipaggio era formato dai ragazzi del nautico di Genova, di 16 anni. Uno di loro quest’anno, a maggio è diventato primo ufficiale di coperta e lavora su una nave della Costa, ha navigato su navi a vela e a motore decisamente più grandi e affascinanti di Pandora e per molto tempo, ma quando mi sono congratulata con lui la sua risposta è stata: “La passione che ho per il mare è cresciuta grazie a voi, grazie a quella stupenda nave chiamata Pandora. Spero sempre di incontrarvi in mare, quando esco in barca, per salutarvi”. Una risposta decisamente stimolante ed emozionante, che per fortuna torna in mente ogni volta che qualcosa va storto”.

Quali rapporti avete con le istituzioni e associazioni legate al mare in città?
“Essere una Tall Ship in Italia è molto difficile, perché manca la cultura, è inutile girarci intorno. All’estero associazioni come la nostra sono sovvenzionate dallo Stato, possono fare i lavori di manutenzione in banchina, cosa che viene vista come valore aggiunto essendo lavori che ormai nessuno fa più, l’ormeggio è gratuito e le barche anche le più piccole vengono messe nel centro delle città per essere ammirate. Se ora noi decidessimo di mollare gli ormeggi e andassimo a Villefranche sur Mer, a Cannes, a Barcellona o a Londra, questo sarebbe il trattamento che ci riserverebbero. In Italia è molto dura, i privati e le aziende sono molto presenti, perché si accorgono che noi viviamo su una barca a vela per passione e non per scopo di lucro, ma purtroppo la burocrazia non aiuta. Tempo fa, la barca era a Genova ospite dello Yacth Club Italiano, poi siamo venuti alla Spezia ospiti della Autorità Portuale per la festa della Marineria e qui adottati subito di slancio dall’Assonautica prima e, successivamente, dal Circolo Velico La Spezia, che è diventato la nostra casa, il porto sicuro, che ancora oggi ci accoglie a braccia aperte ogni volta che ne abbiamo bisogno, e ne abbiamo bisogno spesso. I Consorziati della Darsena a Pagliari, con in testa i nostri grandi sostenitori di MotorVela, ci hanno permesso di fare manutenzione gratuitamente per un primo periodo, e non è cosa da poco, perché noi occupiamo molto spazio. Ora purtroppo non possono più aiutarci per motivi burocratici, appunto. Mesi fa, siamo riusciti a rimettere in mare, dopo un restauro decisamente sostanzioso, avvenuto grazie al Cantiere Valdettaro, una piccola barca di 7 metri in legno, che ci è stata donata affinché fosse utilizzata dai giovani della città per avvicinarli al mare. Il paese di Cadimare ci ha ospitato e supportato in tutti i modi possibili, Le Grazie è ormai tappa fissa durante le nostre attività svolte a favore dei ragazzi disabili, e Portovenere ci ha sempre accolto con generosità. Un’azienda che ha sede a Genova, la International Yacht Paint, da sempre ci aiuta con materiale per la pitturazione. Le realtà locali, fanno parte dell’associazione anche se non a titolo formale. Ottimi sono i rapporti con la Marina Militare, siamo ospiti fissi del Trofeo Mariperman del CSSN, e lo scorso anno il ComSubIn ci ha donato 4 delle storiche lance in legno usate per l’addestramento dei palombari, con la promessa di rivederle in mare nell’antico splendore, a fare da “balia” ai giovani che vorranno navigare in sicurezza per le acque del Golfo. La LNI sez. La Spezia soprattutto nella persona del suo presidente, Giorgio Balestrero, ci ha accolto e sostenuto sempre ricordandoci il valore storico, anche se non originale di Pandora, il valore dei gesti antichi e dell’arte marinaresca. Tanti privati ci hanno aiutato, chi associato e chi semplicemente di passaggio; le realtà locali prevalentemente private hanno fatto quello che altrove viene soddisfatto dalle realtà pubbliche. Da una parte mi dispiace, perché così è sempre molto difficile affrontare gli anni che passano, non possiamo dare tutto quello che sarebbe nelle nostre potenzialità; dall’altra mi inorgoglisce, perché tutti quelli che ci hanno aiutato lo hanno fatto perché hanno creduto in noi, e per fortuna lo fanno ancora”.

Come ti rappresenti la città vista dal mare? Come vivi La Spezia e il tuo paese di origine, Manarola, dal punto di vista privilegiato del mare?
“La città, la vorrei vedere dislocata in maniera differente, un po’ più “marina”, probabilmente con una vocazione più conservativa, meno accogliente, sottomessa, nei confronti del turismo di massa. Per me è difficile riuscire a vedere un profitto economico nel rapporto uomo-mare, mi interessa di più il legame di rispetto e fiducia reciproca. Il modus nauticus è quello che manca da noi: c’è stata una mareggiata, ma i proprietari delle barche non erano nei porti a controllare, perché nei porti le barche ormeggiate appartengono a persone che sono prevalentemente di fuori. Noi spezzini il mare lo abbiamo comunque, anche senza la barca, e non abbiamo intenzione di spendere i costi folli della maggior parte dei porticcioli in Liguria. Per contro, i marina non abbassano i prezzi per renderli accessibili anche ai locali, perché chi viene da Milano, da Parma, da Torino, dove il mare non c’è, ma la volontà di poterne godere ovviamente sì, sono disposti a pagarle, quelle cifre folli! Questo dei costi di marina è un punto su cui l’autorità politica locale dovrebbe, potrebbe, intervenire per cambiare le cose e rendere accessibili gli ormeggi anche per Strina, che vorrebbe tanto avere un gozzo per andare a pescare la domenica. Di Manarola non vorrei parlare, perché è una ferita aperta. Il denaro ha ottenebrato la mente dei paesani, tanto da fargli decidere di cancellare i ricordi e il privilegio del rapporto con il mare a favore dell’arricchimento personale. La guardo da lontano, quando sono alla fonda, ma non di giorno, di sera, quando treni e traghetti non vomitano più persone”.

Mi hai raccontato di un viaggio a Salerno, diretti verso il Mar Nero. Come nascono le navigazioni che intraprendete durante l’anno?
“Generalmente il programma si delinea di due anni in due anni, poiché le manifestazioni sportive veliche, quelle importanti hanno quella cadenza. Poi all’interno della associazione si mettono sul tavolo tutte le attività istituzionali che si vogliono svolgere, corsi di vela per i bimbi associati, le attività rivolte alle scuole, le partecipazioni agli eventi del luogo, le attività a scopo sociale, rivolte alla disabilità o alle famiglie indigenti, e le regate internazionali. Siamo una ASD perciò l’aspetto sportivo è molto sentito, il nostro impedimento più grande è, però, che le regate per noi passano in Mediterraneo abbastanza raramente, e su quelle regate incentriamo la programmazione annuale. Per capirci nel 2016 abbiamo organizzato la navigazione per arrivare in Mar Nero e lì fare una regata che ci avrebbe fatto toccare tutti i porti più importanti; per questo abbiamo ricevuto il patrocinio della Marina Militare, quali rappresentanti per l’Italia, abbiamo navigato fino in Grecia e là abbiamo appreso che la situazione in Turchia aveva preso una piega decisamente preoccupante: era stata abolita la Carta dei Diritti, il presidente Erdogan aveva deciso di sparare a destra e a manca, così siamo dovuti tornare indietro e niente regata”.

Quali progetti per il futuro? Che cosa ti piacerebbe poter realizzare attraverso la pratica della navigazione, dello stare in mare?
“Il futuro per quanto riguarda la nostra associazione è sempre più rivolto alla possibilità di spostarci all’estero, a causa del poco spazio, e del poco interesse che viene dato alla marineria, a favore della nautica d’elite. È una battaglia che noi combattiamo volentieri, ma che non dovrebbe essere combattuta. Noi siamo convinti fermamente del fatto che le nostre tradizioni legate al mare non debbano essere perse e che i ragazzi possano vivere meglio a contatto con il mare in maniera sana e, perché no, sudandosela anche un po’, diventando esperti, imparando a capire come si muove il vento nel Golfo e come si muove il vento e il mare fuori dal Golfo. Ci piacerebbe che i ragazzi ricominciassero a fare viaggi in mare con consapevolezza, non con lo skipper pagato da papà. Ci piacerebbe fare un progetto in cui i nonni e i nipoti possano usare alcune piccole barche che abbiamo a disposizione, per andare a fare il bagno, a pescare o anche solo fare il giro della Palmaria, ma purtroppo non abbiamo molto riscontro dalle istituzioni. Noi lo faremo, ovviamente gratuitamente, però abbiamo bisogno di logistica e supporto organizzativo. Mai dire mai…”.

C’è qualche viaggio, qualche esperienza che ti piacerebbe raccontare e condividere, per il suo insegnamento o per la sua straordinarietà?
“Ogni giorno vissuto in mare, ma anche in banchina, vale la pena di essere raccontato per la sua straordinarietà, e ogni cosa che succede in mare è un accrescimento personale per chi può goderne. Devi sapere che c’è molta solidarietà tra chi vive per mare. Senza andare tanto distante, ti racconterò di quello che ci succede quando ci troviamo a Sestri Levante. Ci capita spesso di passare di lì, è un buon ridosso, c’è una parte di porto libero, dove si può ormeggiare una notte usando la propria ancora e le cime di poppa a terra. Sestri Levante è un porto frequentato molto dai pescherecci, spesso sempre i soliti. Quando arriviamo facciamo sempre molto caos, stendiamo gli asciugamani, laviamo la coperta, magari cantiamo, siamo dei buoni vicini la sera, ma il pomeriggio, non sempre. I pescatori nonostante tutto non si sono mai lamentati, anche se loro il pomeriggio riposano per salpare la notte. Spesso capita che la mattina all’alba si senta un rumore di motori in avvicinamento, poi un tonfo sul ponte, e di nuovo un rumore in allontanamento. Nel dormiveglia già lo sappiamo come andrà a finire la giornata: acciughe fritte, pasta con le acciughe, tortino di acciughe, acciughe per Gancho! Ovviamente nessuno sa quale sia il peschereccio, magari sono più di uno. E comunque: grazie! Per noi è un bel gesto che accogliamo con grande entusiasmo e riconoscenza”.

Fanja e Luca e Laura mi accolgono sottocoperta. Dobbiamo chiudere lo sportello sulla scaletta perché inizia a piovere. Luca, senza che me ne accorga, appoggia sui gradini le scarpe di tutti per non farle bagnare dalla pioggia. Ho portato delle birre, loro tirano fuori dei grissini, il cane si sdraia sotto il tavolo. Iniziamo a chiacchierare, ho tante domande, non so nulla di barche e di vela, e del rapporto tra città e mare.
Fanja mi racconta che raramente i bambini che salgono a bordo, guardando la città da quella prospettiva capovolta, sanno dire dove abitano, dove si trovi grosso modo il loro quartiere. Per questo il lavoro dell’associazione Vela Tradizionale è così importante, proprio per noi spezzini, perché si possa vivere appieno la fortuna che abbiamo di avere il mare come orizzonte. Poi Fanja mi fa vedere un album di fotografie: c’è Pandora (Anna) affondata nel porto di Genova; il comandante che assiste all’estrazione dall’acqua, ai restauri, sempre sorridente, anche se si intuisce il grande e faticoso lavoro. E poi articoli sulla storia della goletta e del suo impegno in mare. Ed infine una poesia Sea Fever (1902) di John Masefield, i cui versi iniziali raccontano la passione di Fanja:

I must go down to the seas again, to the lonely sea and the sky,
And all I ask is a tall ship and a star to steer her by,…

Devo tornare al mare, al mare solitario e al cielo,
e tutto quello che chiedo è una nave a vela e una stella per orientarmi…

Fonte: Città della Spezia, Francesca Cattoi, 2018
https://www.cittadellaspezia.com/2018/11/11/la-barca-non-un-lusso-272640/

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